Seta di Venere, nel Vallone di Sea

11 Apr 2020 | Articoli e racconti

21 aprile 1984. Tutto iniziò da questa data; la settimana prima Maurizio mi chiese se avessi avuto piacere di andare con lui ad aprire una via in Sea.

Non potevo chiedere di meglio, ma al contempo il timore di non essere all’altezza era tanto. All’epoca avevo vent’anni e da circa un anno conoscevo Maurizio che, con altri giovani scalatori di allora, stava interpretando la scalata come logica prosecuzione di ciò che rimaneva del Nuovo Mattino.

L’arrampicata fine a se stessa, ricercando linee logiche, estetiche per il solo piacere di scalare. Ci si allenava in val di Susa o a Finale, ma l’obbiettivo era la valle dell’Orco, il Monte Bianco e poi Sea.

Sì proprio Sea. Quella valle ombrosa, un po’ defilata dai posti “alla moda” già di allora, ma dal grande fascino.

Quella mattina di 35 anni fa risalendo il vallone dubbi e domande mi perseguitavano. Dove mi porterà mai Maurizio? Quale linea avrà mai individuato e su quale parete?

Ben presto i miei dubbi iniziarono a svanire. Quasi alla fine della strada attraversammo il torrente sino a raggiungere le prese dell’acquedotto. Essendo aprile le numerose lingue di neve presenti facilitarono di molto la salita sulla pietraia e così in breve giungemmo alla base della parete. Passammo sotto lo Specchio di Iside e risalimmo ancora un centinaio di metri verso la parete dei Titani sino nei pressi di un caratteristico masso tavolare.

Lì Maurizio si sfilò lo zaino, alzò lo sguardo e mi disse: “eccolo”

Allora alzai gli occhi e quello che vidi fu un taglio a V nella roccia, aggettante, sospeso o meglio proteso nel vuoto a circa 120 metri da terra.

“Li, voglio arrivare li” continuò Maurizio, osservando con occhio attento la parete.

Cosi iniziammo la salita. A tiri alterni e dovendo chiodare su difficoltà mai banali anche le attese alle soste si prolungavano alle volte oltre modo. In ogni caso con buon ritmo arrivammo nel primo pomeriggio sui tiri chiave della via. La placca con fessurino dell’attuale L4 (valutata oggi 6a+/b) la superai con buon piglio e questo mi diede una spinta motivazionale non indifferente. Fu uno di quei momenti fondamentali che nel mia modesta carriera di arrampicatore segnò una svolta; avevo finalmente una chiara percezione e consapevolezza dei miei mezzi e di quanto avrei potuto fare in quella e nelle stagioni successive.

Arrivammo così finalmente sotto quella spaccatura con la forma di un delta. Il solo saperla sopra di me mi incuteva timore e preoccupazione. Per fortuna toccava a Maurizio salire da primo. Già all’epoca aveva un qualcosa in più rispetto a noi “normali” e su queste due lunghezze (fece una sosta a metà Delta) diede dimostrazione di tutto il suo talento di arrampicatore e di grande intuitore di nuove e spettacolari linee.

Purtroppo a metà del Delta, in fase di schiodatura, mi diedi una violenta martellata sul dito anulare della mano sinistra che mi fece letteralmente esplodere il polpastrello; questo incidente in parte mi rovinò quella giornata, ma forse rese ancor più indelebile i ricordi di quelle ore trascorse in quel luogo magico e che da tempo sognavo.

Inutile dire che parte delle doppie e la discesa a piedi avvenne al buio, forse a criptare per sempre quella favola chiamata poi da Maurizio “La seta di Venere”

3 agosto 2019, una data qualsiasi? No almeno per me no. E’ il giorno che ripeto La seta di venere dopo 35 anni.

Tutto inizia dal fatto che ho ripreso da alcuni mesi ad arrampicare dopo un “ibernamento “di 28 anni; dopo i primi mesi a chiedermi chi me lo facesse fare, e dopo a chiedermi cosa riuscirò ancora a fare, un po’ di fiducia nelle mie capacità mi permisero di iniziare a sognare nuovamente qualche viaggio in Sea.

Estate 2018. Se ne parla più volte di ripercorrere questa via ma per mille motivi non si combina nulla; tra qualche temporale di troppo e altri progetti la stagione di Sea passa e tutto viene rimandato all’anno successivo.

E così si arriva al 3 agosto di quest’anno.

Con Cino, l’amico di tante salite negli anni 80 ci ritroviamo a ripercorrere il vallone: prima la strada, poi il guado ed infine la pietraia. Gli anni son trascorsi e tanti anche, ma la grinta già a partire dall’avvicinamento è sempre quella dei periodi della gioventù. Dopo circa un’ora di cammino siamo al masso piatto. Sfilo lo zaino e alzo lo sguardo. Il Delta è lì sempre ad incutere timore esattamente come trentacinque anni prima. Aggettante, sospeso lassù nel vuoto a richiamare l’attenzione con la sua linea elegante e all’apparenza irraggiungibile.

Ci prepariamo. Partiamo. I tiri di corda scorrono veloci… L1. L2. L3. L4 con la sua placca come 35 anni prima la scalo da primo, il delta da secondo me lo godo appieno in libera e ne esco esausto e solo una buona dose di strisciamenti di schiena mi portano fuori. Ma che tiro spettacolare. Ma che intuito ebbe Maurizio nel lontano 1984.

Un ultimo lungo e mai banale tiro di corda e siamo alla sommità.  L’emozione è tanta dentro di me. Rivivo in pochi attimi i ricordi ancora intensi del passato, ma è ora di ridiscendere; quattro veloci doppie e siamo agli zaini.

Finalmente ci rilassiamo. Siamo alla base della parete. Le solite quattro chiacchiere, gli occhi che inseguono le tante linee di salita tracciate su questa parete, sogni, commenti, desideri.

Scendendo, ritorniamo pian piano nei nostri mondi, nelle nostre vite, nella quotidianità, ma Sea almeno per qualche ora ci ha permesso di tenere tutto questo al di fuori, permettendomi di rivivere le emozioni di quel 21 aprile di trentacinque anni prima.

 

 

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