Aldo Morittu

26 Ago 2025 | Articoli e racconti, News & Articoli

Aldo Morittu

 

 

Affinchè non vada persa la memoria di questo personaggio vi proponiamo un ricordo di Elio Bonfanti

(foto di copertina M. Blatto)

 

Introduzione

di Luca e Matteo Enrico

 

Alla metà degli anni ’90 bazzicavamo già nel Vallone di Sea e all’Albergo Savoia di Forno Alpi Graie spesso incontravamo un singolare personaggio: Aldo Morittu.

Se ne stava beatamente sulla terrazza, con l’immancabile sigaretta tra le labbra e l’altrettanto immancabile bicchierino di grappa in mano. Di sigarette ne fumava a dismisura e un giorno lo sentimmo dire che beveva perché l’alcol è un ottimo vasodilatatore, di grande aiuto per la circolazione sanguigna, forse bevendo si illudeva di contrastare gli effetti nocivi del fumo.

Era divertente parlare con lui che era stato uno storico socio e soprattutto amico di Gian Carlo Grassi. Fino ad allora noi lo avevamo conosciuto solo attraverso le relazioni delle vie, il suo nome associato a quello di Grassi e spesso a quello di Elio Bonfanti: “Grassi, Morittu, Bonfanti” recitavano le relazioni.

 

Bonfanti e Grassi (foto Bonfanti)

 

Una sigaretta via l’altra, un bicchiere via l’altro, Aldo ci raccontava mille aneddoti della sua amicizia con Grassi, come quando andarono in Dolomiti con due suoi clienti…”percorremmo 16 vie in 15 giorni!”…e via dicendo, finché ci ritrovammo a parlare di una misteriosa via sull’Uja di Mondrone, di cui avevamo letto su quella bellissima pubblicazione che il CAI Torino redigeva allora: “Scandere”.

L’articolo, a cura di Elio Bonfanti, e pubblicato sull’edizione 1990-1992, si intitolava “Un uomo, una storia” e parlava di Gian Carlo Grassi e delle ultime vie da lui aperte prima della sua prematura scomparsa, tra cui quella sulla Mondrone dal nome molto evocativo: “Alla pagina seguente”.

 

 

Giancarlo mi spediva giù a valle a fare provviste, avevamo un trapano a motore e le taniche di benzina al seguito…che bella via, c’è una doppia di 50 metri nel vuoto stile Tete d’Aval” raccontava Aldo con quella sua voce roca, un sorriso buono sotto i baffoni neri e uno sguardo tra il divertito e il nostalgico.

Molti anni dopo, ancora incuriositi da quei racconti iperbolici, andammo a richiodarla e anche per noi fu una grande avventura, anche noi ci calammo dal grande tetto e anche noi arrivammo sui ghiaioni a notte con la paura che il trapano ci abbandonasse, proprio quando dovevamo mettere l’ultimo fix. In qualche modo potemmo rivivere, e forse far rivivere, l’avventura che tanti anni prima Aldo ci aveva raccontato.

 

Alla Pagina Seguente (disegno di L. Brunati)

 

Come dimenticare poi quella volta che andò, insieme a un nostro amico, a ripetere la cascata Pineteo all’inizio di Sea? Arrivato verso l’uscita non aveva più chiodi, si appese allora alle piccozze (perché all’epoca ancora si usavano i cordini), tirò fuori dalla giacca il pacchetto di sigarette accendendosene una e dicendo: “Mi fumo l’ultima prima di morire”.

Si divertiva anche sempre a raccontarci la storia di quanto, ospite a casa di Bonfanti, fu messo a dormire in garage. Era un’altra delle sue storie iperboliche e forse per quello Elio gli rimase sempre amico, ed è proprio ad Elio che abbiamo chiesto di scrivere un ricordo di questo personaggio che merita di non essere dimenticato.

 

 

 

Aldo Morittu

“Il gatto”

 

di Elio Bonfanti

 

Avevo appena ripreso ad arrampicare ed avevo frequentato un corso di Alpinismo le cui uscite si tenevano perlopiù nei dintorni del rifugio Mariannina Levi e fu li che, qualche mese dopo, lo conobbi.

Dato che vivevo praticamente in valle, mi capitava spesso di tornare lassù a trovare i gestori di allora con i quali ero entrato in amicizia e, approfittando della loro ospitalità, avevo iniziato ad aprire qualche nuovo itinerario sia in estate che in inverno.

Di rientro da una gita lo vidi seduto ad un tavolo del rifugio, sigaretta in bocca e bicchiere di Genepy davanti al naso. Iniziò a domandarmi da dove venissi e cosa avessi fatto, palesando una certa competenza e dicendomi che anche lui arrampicava ma che faticava a trovare compagni. L’unico con il quale ogni tanto si accompagnava era Fabrizio Melina il quale però, avendo degli impegni famigliari, molto spesso era indisponibile. Così quando era solo “Bacco e Tabacco“ erano i compagni di cordata con i quali affogava la sua solitudine.

 

Aldo Morittu

 

Quello strano personaggio sardo, dall’accento spiccatamente piemontese, mi tenne al tavolo a lungo e a sera ormai alta ci demmo appuntamento per fare qualcosa insieme il giorno successivo. Scoprire le persone con cui dividere la corda per quanto mi riguardava era una pratica non facile, tant’è che, nonostante io abbia sempre fatto molta attenzione, sotto il profilo umano ho preso alcune sonore fregature.

Questa cosa non avvenne con Aldo il quale da subito si dimostrò un ottimo compagno di cordata ed il fatto di tenerlo lontano dai Bistrò mi faceva stare ancora meglio. Inizialmente battemmo in lungo e in largo l’alta val di Susa ed oltre ad un certo numero di ripetizioni ne cavammo anche qualche via nuova. Lo introdussi anche alla corte di Gian Carlo e presto, insieme a Fabrizio, i due divennero gli scudieri dell’imperatore. Ero giovane e forse più ambizioso che bravo ma lui, che non aveva paura nemmeno del diavolo, mi seguiva in ogni dove sempre pronto e disponibile. Dalle ripetizioni al Bianco alle vie in Dolomiti, molto spesso sul suo scassatissimo Fiat 131 giravamo quasi senza meta come dei matti.

 

Aldo Morittu

 

Talvolta nei bivacchi o nelle trasferte il discorso cadeva sulla sua situazione sentimentale che non era assolutamente felice perché alla fine della fiera, oltre a non essere certamente un fotomodello, era pure molto timido. Nonostante lo spronassi non riusciva proprio ad uscire da quel suo loop malinconico al punto che dopo avergli suggerito di provare con un’agenzia matrimoniale dovetti fare io la chiamata dicendo, come forse facevano tutti, “chiamo per un amico” e, una volta presentatolo per come era, ne ricevetti una sequela di insulti senza fine sentendomi poi dire che tutte le donne dell’agenzia erano giovani e bellissime. Solo dopo capii che avevo chiamato un ufficio di escort ante litteram.

 

Aldo Morittu in secondo piano

 

L’attività in montagna era frenetica ed Aldo molto spesso si divideva tra me e Gian Carlo piuttosto che insieme a noi due. Era forte come un toro e noi non mancavamo di caricarlo come un mulo da soma ma mai un fiato di protesta usciva da quella bocca, anzi spesso ci sorprendeva con delle battute di un’intelligente arguzia celata da quel suo aspetto rude e talvolta trasandato.

Mille avventure e mille storie da raccontare, dall’ Uja di Mondrone slegato per andare a comperarci il cibo a quando Gian Carlo, per fare uno scherzo al sottoscritto, riuscì a dargli fuoco su una cascata di ghiaccio. Aldo quella volta superò se stesso ed in ospedale, per giustificare all’ incredulo carabiniere che lo interrogava sulle ustioni riportate, disse: “Sa com’è con i ramponi sulla roccia… una scintilla e ho preso fuoco!” (per ascoltare il contributo di Morittu andare ai minuti 40 e 41.15 del film “Gian Carlo Grassi, l’uomo del giardino di cristallo” di Angelo Siri: https://www.planetmountain.com/it/video/gian-carlo-grassi-l-uomo-del-giardino-di-cristallo.html)

 

L’Uja di Mondrone in un disegno di Luca Brunati

 

Lo spartiacque del nostro rapporto coincise con la scomparsa di Gian Carlo nel 1991, dopo quell’avvenimento iniziò a rallentare l’attività e in un freddo mattino di marzo mi diede, dopo tanti anni, la prima buca. Avevamo in mente un progetto che curavamo da tempo sulla parete est del monte Lera in val di Viù ma quel mattino non venne. Si giustificò dicendo che dormiva sull’orecchio buono e che non aveva sentito la sveglia, io rilanciai per il giorno successivo ma lui molto onestamente mi disse basta: “Sono stanco di fare sempre cose difficili, di faticare di prendere il Tilcotil” (un antinfiammatorio da cavalli che Gian Carlo gli somministrava quando si lamentava per i dolori). Ci separammo senza attriti e con il ricordo di momenti straordinari passati insieme e per un certo periodo lui continuò ad arrampicare con molti amici che via via lo avevano conosciuto e incontrato.

 

a Erto, con Mauro Corona, nell’ultimo periodo di vita

 

Seppi poi che nei suoi esilaranti racconti disse che lo avevo fatto dormire nella cantina di casa mia, cosa che naturalmente non era vera ma che dava colore alle sue storie e pian piano, complice l’amicizia con Mauro Corona, si riavvicinò a quei due demoni che ero riuscito a fargli lasciare. Lo rividi in occasione del film di Angelo Siri, al quale ebbi modo di collaborare, ma già lì era l’ombra dell’amico che avevo conosciuto. Da ultimo suo fratello lo volle con sè in Sicilia per distoglierlo dai vizi che avevano invaso la sua vita e Mauro, sapendolo oramai a termine, in un sussulto di vera amicizia, lo volle ancora una volta ad Erto per far si che si congedasse dalla vita con negli occhi la val Cimoliana.

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