Il rifugio Peraciaval un’antica passione

17 Feb 2021 | Articoli e racconti, News & Articoli

Lino Fornelli ci regala questo bel ricordo del rifugio di Peraciaval, oggi conosciuto come rifugio Cibrario, e di un’epoca spartana ma con molta poesia

il rifugio Cibrario oggi

Il rifugio  PERACIAVAL  un’antica passione

   Parlare di rifugi alpini è per me sempre un piacere, se si tratta poi dei rifugi delle mie valli originarie il piacere è massimo. Voglio qui ricordare un rifugio che ci ha permesso di muovere i primi passi in alta montagna: il Peraciaval. Sono ricordi tra il sublime e il buffo; per me commoventi anche per il ricordo di quell’età, ma soprattutto per il ricordo del fratello e dell’ amico che non sono più. Negli anni ho poi avuto modo di occuparmi a fondo di queste strutture del Club Alpino Italiano, ne ho anche gestito uno, in seguito sono stato invitato a far parte della commissione centrale rifugi del CAI e poi come coordinatore centrale degli ispettori zonali, mi sono occupato della organizzazione dei rifugi, della loro sicurezza, della pulizia, dell’igiene ecc… in tutta Italia..

   Gli attuali rifugi sono generalmente efficienti, con ottimi servizi e comodità che noi allora non riuscivamo nemmeno ad immaginare. Averli resi più confortevoli è certamente un bene.

   Ai tempi del mio racconto i rifugi erano frequentati quasi esclusivamente dagli alpinisti, mentre ora i più sono in genere escursionisti. Sono sempre degli innamorati della montagna e i rifugi sono sempre a loro disposizione per poterla frequentare in maggiore sicurezza. 

   Nel profondo del mio animo ricordo però con un po’ di nostalgia il periodo del Peraciaval (ora rifugio Cibrario al Peraciaval),di quel rifugio spartano, ma forse più intimo.

 La guerra era finita da poco più di un anno in quell’estate del 1946. Si tornava a vivere, anche se con scarsi mezzi. In agosto i miei decidono di passare le ferie a Viù nostro paese di origine abbandonato qualche anno prima per trasferirci a Torino. Per l’occasione avevano trovato un modesto alloggetto presso il “punt d’la coumba” all’ingresso di Viù. Però mio fratello Piero ed io eravamo già stati contagiati dal morbo delle montagna e dopo alcune passeggiate famigliari decidiamo di “andare in montagna”.  Decidemmo così di salire al rifugio Peraciaval con l’intento di fare la Lera o la Croce Rossa.

a sinistra si nota il rifugio

Corriera (autobus di linea) fino ad Usseglio; passiamo dalla guida/custode per avere le chiavi del rifugio, ma questi ci dice di andare tranquilli che il rifugio è aperto. La salita è senza storia, a parte il fatto che allora si partiva a piedi dalla fermata della corriera. Al rifugio troviamo due alpinisti meno giovani di noi  (io avevo 17 anni e Piero non ancora 15) che ci danno alcuni consigli per la Croce Rossa, da loro salita  il giorno stesso. Il rifugio era stato  una delle basi per i partigiani durante la guerra ed era in pessime condizioni, garantiva solo un tetto, cuccetta, materasso e coperta  per la notte, ma noi avevamo portato tutto l’occorrente, compreso un fornelletto a meta.

verso il Colle della Valletta

Nella notte bufera con forte vento e spruzzata di neve fin quasi al rifugio. Fatta colazione con quanto ci eravamo portato e indossato tutto quello che avevamo, partiamo per la vetta. Tira sempre un  vento forte e  freddo.

Avevamo con noi quei volumetti editi del Cai Torino e dalla Sari, a cura credo di Eugenio Ferreri e Massimo Strumia (che conservo) e che illustravano gli itinerari normali delle valli di Lanzo,  dai  quali si apprende, tra l’altro, che era già nelle intenzioni la guida delle “Alpi Graie Meridionali”….!

La guida CAI-TCI Alpi Graie Meridionali, uno degli autori è Lino Fornelli

Salita relativamente tranquilla sino al colle della Valletta, poi lungo ,la cresta sud del monte

procediamo agevolmente sino in vetta dopo aver superato un modesto risalto roccioso.

Il vento è sempre forte e freddo. L’arrivo in vetta è stato uno di quei momenti magici che decidono   il futuro della vita: una luce abbagliante e un cielo blu come non avevamo mai visto; un’atmosfera limpidissima, un mare di vette innevate tra cui spicca in lontananza la sagoma gigantesca ed inconfondibile del Monte Bianco. La solitudine totale poi, il vento freddo e il trovarci così in alto per la prima volta hanno fatto di quel momento un episodio che ricorderemo tutta la vita.

In seguito verranno per noi, negli anni, altre montagne, anche più alte e più difficili, ma l’emozione di quel luminoso mattino di agosto 1946 in vetta alla Croce Rossa rimarrà indelebile per sempre.

La vetta della Croce Rossa

A Torino conoscevamo già da prima della guerra Giuseppe Garimoldi e sua sorella Delina. Come età Giuseppe stava tra me e Piero, Delina aveva pochi anni di più. Abitavamo tutti nella borgata Campidoglio, all’ombra della chiesa di S,Alfonso. Delina diventerà poi la moglie (tuttora vivente, 98enne) di Franco Nebbia cui verrà dedicato dalla GEAT un bivacco presso il Col Garin, in quel di Cogne. L’anno dopo della nostra avventura al Peraciaval organizziamo un piccola spedizione di una settimana, noi quattro, allo stesso rifugio. Vista l’esperienza dell’anno scorso portiamo con noi tutto il vitto occorrente per la settimana. Una serie di bistecche impanate verranno sepolte in un nevaio poco lontano dal rifugio e verranno recuperate una per volta: si conserveranno benissimo fino all’ultima. Per il latte avevamo delle scatolette di latte condensato che aggiunto all’acqua ci forniva un latte già zuccherato.

Quest’anno però il rifugio aveva un custode: un anziano pensionato che passava quasi tutto il giorno avvolto nelle coperte per difendersi dal freddo; preparava però un buon minestrone.

In quella settimana dal 10 al 17 agosto 1947 sono transitate dal rifugio ben poche persone oltre a noi quattro. Io e Piero speravamo di trovare il tempo dell’anno scorso, magari un po meno freddo, e infatti faceva meno freddo, ma era più umido, nebbioso, minacciava spesso pioggia

e qualche volta la minaccia diventava realtà. Saremo appunto respinti dal maltempo sulla cresta nord della Croce Rossa, raggiunta attraverso il colle della Valletta e il ghiacciaio omonimo, quello del Baounet sul versante francese e il Passo Martelli. Decidiamo di rinunciare, ma pensandoci ora forse avremmo potuto continuare sino in vetta e poi scendere dalla via normale; il maltempo non era poi così terribile, ma noi eravamo un po condizionati dalla lettura di grandi drammi in montagna provocati dal maltempo. Avevamo poi anche problemi di equipaggiamento, come si può vedere dalla foto di me e Piero in vetta, qualche giorno dopo. Nei giorni riusciremo a fare la punta Valletta, poi la punta Soulè raggiunta alle 17, per il tempo incerto. Tenteremo poi la Lera da nord dal colletto omonimo, alla sommità  dal canalone allora ben innevato: attacco il canalone, supero la crepaccia terminale e proseguo  brevemente sul pendio di ghiaccio e roccette, intanto in basso Giuseppe per scaldarsi un pò decide di provare la sua bella piccozza “nuova” comperata al “Balun”, il mercato delle pulci.

la vetta della Croce Rossa dal Colle della Valletta

Questa picca aveva il becco e la paletta in spesso  acciaio cromato, il manico di legno verniciato che mostrava però chiari segni di tarme. Giuseppe era molto fiero del suo attrezzo e decide di verificarne l’efficenza. succede però che al primo colpo sul ghiaccio il bel manico verniciato si spezza come un grissino e la parte superiore della piccozza sprofonda nella buia profondità del crepaccio. Gran delusione per Giuseppe. Intanto si rimette a  piovere e torniamo al rifugio. Quì il custode si lamenta perché ha finito la legna. Il giorno 15, ferragosto, su indicazione dello stesso, io e Giuseppe andiamo al lago della Rossa attraverso il colle Altare, e presso il lago, vicino alcuni vecchi cantieri troviamo effettivamente del legname servito in passato per i lavori. Il tempo è brutto, ma non piove,  raccogliamo la legna: pezzi di assicelle e piccoli rottami di legno abbandonati: Ne facciamo una specie di fascina ciascuno che legheremo con cordino e  filo di ferro. Al ritorno la risalita del colle Altare è la parte meno divertente della settimana, con quel carico che più malagevole di così non avrebbe potuto essere.

In discesa dal colle, breve tratto in diagonale, poi giunti sopra la verticale del rifugio mi viene un’idea: possiamo buttare e far rotolare le nostre fascine fino al rifugio, risparmieremo un bel po’ di fatica! Detto fatto: buttiamo le fascine sul pendio pensando di vederle rotolare. Ma queste non ne vogliono sapere di rotolare correttamente e si sfasciano vergognosamente spargendo tutto il legname sul ripido pendio erboso. Dovremo poi ricuperare faticosamente e pazientemente il tutto, pezzo per pezzo, fieri però di aver rifornito il rifugio dell’indispensabile legna.

L’ultimo giorno della nostra permanenza al Peraciaval decidiamo per la Croce Rossa. Partiamo tardi, alle 10,15. Salita  senza storia, lungo la solita cresta sud; poco prima della vetta vediamo alla nostra sinistra, sul pendio innevato del versante SW  due uomini che scendono velocemente, sapremo poi che si trattava di Pensiero Acutis, ex internato, partigiano e in seguito presidente di organizzazioni di ex internati, scomparso a fine novembre 2020 a 96 anni, e se ricordo bene  di Alberto Forneris,  che diventeranno poi nostri amici. Al ritorno scendiamo la cresta sud sino al colle della Valletta, quindi, anziché scendere al rifugio, continuiamo  per la cresta di confine attraversando le tre punte di Peraciaval, la punta Lose Nere, poi la mia memoria presenta dei vuoti: forse abbiamo aggirato la punta Valletta sul ghiacciaio (o forse l’abbiamo salita) e credo di essere arrivati alla punta Autaret, da cui in qualche modo siamo scesi ai laghi omonimi. Di qui risalita al Colle Soulè, poi discesa sul ghiacciaio di Bertà, allora ancora esistente, e quindi al rifugio: erano le 22,15,  gran sollievo del custode che era ormai preoccupato e non sapeva cosa fare. Infatti allora il telefono era qualcosa di inimmaginabile in un rifugio in quota.

l’indomani con un tempo bellissimo risaliamo ancora il colle Altare, poi lago della Rossa, il Collarin d’Arnas  per giungere infine al rifugio Gastaldi. E’ con noi, in quest’ultimo giorno, un escursionista solitario che non conosce la zona, ma ha frequentato qualche volta le Dolomiti. E’ entusiasta, non immaginava di trovare un ambiente così bello. Anche noi siamo per la prima volta in questa zona,

ma negli anni successivi avremo modo di conoscerla a fondo. Quel giorno vi era molta gente al Gastaldi, faceva un  po’ rimpiangere la solitudine del Peraciaval, spartano, ma per noi più intimo.

In serata ritorno a casa.

 

Lino Fornelli 10 dicembre 2020.

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