Due giornate alle pendici della Mondrone

21 Giu 2023 | Articoli e racconti, News & Articoli

DUE GIORNATE ALLE PENDICI DELLA MONDRONE

Il versante meridionale dell’Uja di Mondrone è un ammasso caotico di speroni, cenge, salti più o meno ripidi rigati da cascate che sembrano infinite, sgorgare da chissà dove in quel mondo arido fatto di rocce, dove regnano incontrastati gli stambecchi.

Il versante meridionale della Mondrone sembra quasi un antico castello dalle mille torri, con i suoi camminamenti e i suoi punti di vedetta da cui osservare e dominare il fondovalle. Poderosi bastioni, altissimi terrapieni e l’acqua a difendere questa fantastica rocca turrita e fortificata. Le sue guardie, gli stambecchi, ne conoscono tutti gli anfratti e i bastioni, saltano rapidi da un pinnacolo all’altro controllando i movimenti degli intrusi.

Sono loro gli unici ed incontrastati signori di questa fortezza plasmata dalla natura nel corso dei millenni. Oggi giorno gli intrusi sono i camminatori che risalgono il “Labirinto Verticale” oppure gli arrampicatori che scelgono di passare qualche bella ora di scalata sui Contrafforti del Ru, dove la visionaria tenacia di alcuni di essi ha permesso di realizzare itinerari piacevoli ed abbordabili, a pochi minuti da Balme eppure immersi in una natura affascinante, di una bellezza quasi unica. La storia del “Labirinto Verticale” è antica, quella delle vie di arrampicata inizia invece nel 2012 grazie soprattutto a quello straordinario alpinista che è Enzo Appiano il quale, a dispetto della data di nascita (classe 1928), vede linee dove gli altri non hanno mai visto nulla, scala e attrezza col trapano e gli spit le sue intuizioni.

Da Balme ci lasciamo presto alle spalle le vestigia dello storico albergo Camusot risalendo boschetti, praterie e pietraie calcinate dal sole verso la Cascata del Pissài. Sulla via siamo soli, la montagna è tutta per noi, ci alterniamo sui tiri. In realtà non sono il solo ad osservarla e seguirne i movimenti mentre sale, metro dopo metro, verso la sosta successiva. Un giovane stambecco la osserva dall’alto, ne studia incuriosito le movenze, ogni tanto scompare per poi riapparire da un punto di visuale per lui migliore. Lei continua a salire e il muto guardiano di questi monti continua ad osservarla.

Al termine della via ci ritroviamo nel “Labirinto Verticale”. Percorrendolo in discesa passiamo a fianco della magnifica cascata che in quel punto si biforca formando sotto il ramo di destra una pozza, che ci dà il meritato refrigerio. Le goccioline d’acqua, trasportate dal vento, rifrangono la luce. La luce del pomeriggio avanzato accarezza l’erba accendendo le rocce rossastre che abbiamo appena percorso. Vorremmo restare qui a lungo ma non ci si può attardare oltre.

L’indomani sono di nuovo lì, vicino a quella pozza. Oggi, con mio fratello, risaliremo tutto il “Labirinto Verticale”, sperando di riuscire a giungere, meteo permettendo, al Lago del Ru. I vecchi segni al minio ci guidano in quel dedalo di cenge, canali, passaggi. Senza quelle sbiadite tacche di vernice non sarebbe sempre così facile orientarsi. Sembra incredibile che in mezzo a questi salti e pareti ci sia un percorso interamente camminabile tutto raccordato. Il percorso ricorda una grande Z che taglia il versante, gli scorci sono di rara bellezza: la fuga laterale delle lunghissime cenge erbose, la cascata in lontananza, gli incombenti spigoli di roccia, le barme rifugio degli stambecchi. Sembra di penetrare in un mondo fantastico ed irreale espugnando, passo dopo passo, quella mirabile fortezza.

A un certo punto mi imbatto in delle antiche incisioni. Sono iscrizioni che i pastori facevano nel XIX secolo quando questo non era ancora il regno incontrastato degli stambecchi. Allora i balmesi portavano qui a pascolare pecore e capre complice l’ottima esposizione meridionale del luogo, il che ne consentiva spesso la frequentazione anche non in estate. Il più delle volte queste incisioni riportano delle iniziali e l’anno, nelle lunghe attese quegli uomini lasciavano indelebile una traccia di sé.

Un’iscrizione in particolare attrae la mia attenzione. E’ netta, pulita, lontana dalle altre, perfettamente conservata. Non so perché mi abbia attratto subito così, lì per lì non me lo spiego, poi leggendo bene vedo la data: 1823.

200 anni prima. Quell’iscrizione ha 200 anni esatti. G P C 1823. Chissà a chi appartenevano quelle iniziali? Chi era quel pastore salito fin quassù a governare le sue greggi o al ritorno da una ricerca di qualche capo smarritosi in questo dedalo di salti e cenge? Nessuno potrà mai saperlo, è come se però attraverso quell’incisione qualcosa di lui sia rimasto per sempre tra quelle rocce, arrivando fino a noi.

Certo non avrebbe mai potuto immaginarsi di essere un giorno fotografato, quell’iscrizione ci rimanda ad un’epoca ormai lontanissima, dove il mondo era completamente diverso, il mondo di un pastore vissuto probabilmente sempre in quel microcosmo di rocce. Accanto ci sono incisioni ancora più antiche, tanto affascinanti da non riuscire a distoglierne lo sguardo.

Riparto, un grande rapace mi passa sulla testa, scompare nelle nebbie che si sfilacciano sul crinale della montagna, rimanendo attaccate a quelle appuntite guglie. Dall’alto vediamo il Lago del Mercurin, ancora completamente gelato, e poi giungiamo all’altrettanto ghiacciato Lago del Ru, incastonato in una solitaria e rocciosa conca.

La nebbia rende tutto ovattato, misterioso. Non c’è nessuno, nemmeno gli stambecchi. Ripartiamo verso il Pian della Mussa, verso la pioggia.

PER GLI ITINERARI:

VIA MAHSA: 

Torrioni del Ru – via Mahsa

 

LABIRINTO VERTICALE E LAGO DEL RU

Lago del Ru (2585m) per il “Labirinto Verticale”

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